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Zac7 - Il giornale del Centro Abruzzo

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Gli olandesi e la finestra di fronte

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di Lalla Cappuccilli

La coppia al primo piano della casa di fronte ha una bellissima cucina che la signora non usa mai, una pianta grassa e un gatto rosso sempre alla finestra alla ricerca dell’attenzione del mio, che invece non lo considera minimamente (foto 1).
Il signore anziano sulla sedia a rotelle che abitava all’inizio della strada e ogni tanto mi incaricava di fargli la spesa non si vede più da un pezzo, in effetti era piuttosto malandato, e chissà dov’è adesso.
Il ragazzo del piano di sotto si esercita ore ed ore al bassoelettrico, ma vorrebbe anche cantare come Eddie Vedder: si è imbarcato in una sfida non facile.
L’inquilino dell’appartamento nella stradina parallela urla quando la squadra del cuore segna, ha un arredamento totalmente IKEA e un computer sempre acceso con il classico screensaver Windows, forse è particolarmente affezionato a Bill Gates, o forse è troppo pigro per prendersi il disturbo di personalizzarlo.
No, non sono stata colpita da un attacco acuto della “sindrome della portinaia del condominio”, semplicemente le strade delle città olandesi sono come un Grande Fratello perpetrato all’infinito, e non è un caso che il format televisivo che ha preso il nome dal personaggio di Orwell sia partito proprio da qui nel 1999 (foto 2).
Ho letto tempo fa su un blog intitolato “Stiamo cablando una casa di vetro?” che l’avvento dei social network ci ha condotto progressivamente verso un’esistenza in vetrina, anche con un’implicazione in più rispetto all’esposizione passiva da reality show: non ci limitiamo a lasciarci guardare come pesci nell’acquario, ma ci impegniamo proattivamente a condividere tutto, o quasi, con la nostra comunità virtuale.
Eppure al primo impatto gli italiani continuano a sbigottirsi davanti a quelle finestre enormi senza persiane e in molti casi senza tende, dove è possibile sbirciare nella vita degli altri, di giorno e talvolta anche di notte (foto 3-4). La tesi più nota è quellache attribuisce questa consuetudine alla dottrina calvinista, secondo la quale la confessione del fedele è un atto diretto e privato con Dio, e quindi ogni individuo deve essere trasparente e visibile nel suo quotidiano, a dimostrazione della propria integrità morale.
In realtà accanto a tale retaggio religioso, vi sono altre motivazioni più terrene, ma sicuramente non meno interessanti. Una è di natura pratico-architettonica: molte finestre, chiamate “verhuisramen” (cioè “da trasloco”), sono facilmente rimovibili per consentire il passaggio di mobili. Gli edifici nelle città olandesi, soprattutto Amsterdam, si affacciano spesso su stradine a ridosso dei canali, hanno facciate strette, scale ripide e niente ascensori. I traslochi sono dunque procedure alquanto ingegnose, oltre che estremamente affascinanti agli occhi dei turisti, ideate per bypassare la classica entrata dalla porta principale degli arredi e dei materassi, che vengono invece issati dalle finestre con l’aiuto di robuste corde e altrettanto vigorosi esseri umani (foto 5). Per questo molte case hanno pareti inclinate e un gancio sulla trave che sporge dalla facciata (foto 6-7).
Un’altra ragione affonda le radici invece nel relativamente recente passato imperialista della nazione: la parata alle finestre di sete, porcellane e oggetti preziosi prevenenti dalle colonie rappresentava un’ostentazione di opulenza e un emblema di conquista da parte dei ricchi mercanti delle Compagnie delle Indie.
Ma il tempo, si sa, è una spugna universale e acritica che cancella molte verità, portando via con sé anche quelle più scomode, ed oggi di tutto questo è rimasta solo qualche traccia sbiadita: un certo gusto per l’etnico, tante statue di Buddha vendute nei negozi più disparati in bella mostra tra una padella antiaderente e una candela profumata, soggiorni curatissimi straripanti di ninnoli, fiori, piante, broccati e cuscini di raso affacciati sulla strada, a disposizione degli sguardi dei passanti (foto 8-10).
Così, camminando per le vie di Amsterdam e curiosando attraverso i grandi finestroni a vetri in cerca dell’oggettino che mi manca, quello perfetto per il mio salotto, mi accorgo che la“sindrome della portinaia del condominio a cui nulla sfugge” mi ha un po’ contagiato. Del resto, sono diventata anch’io per i miei vicini un pesce dell’acquario.

“Le finestre.
Le finestre.
Le finestre di quaranta case
son rientrate alla mia stanza.
Mi sono seduto su una di esse
e ho dondolato i piedi alle nuvole.
Potevo dire
forse io sono felice”
(“Le finestre”- Nazim Hikmet)


postato il 25/7/2015

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