E-MIGRANTI

Zac7 - Il giornale del Centro Abruzzo

18459

Je suis… chi?

Galleria fotografica

Documento senza titolo

di Davide Cacchioni
Entrare a Paris X-Saint Denis è semplice. Nessun controllo, il grande campus di periferia un po' trasandato e semi-deserto. E il profumo delle pannocchie bruciacchiate in vendita fuori la metro ancora nelle narici. C’è solo il gruppo di avventori richiamato da questa serata di solidarietà palestinese di fine inverno. Lo spettacolo è in arabo con i sottotitoli in francese proiettati nel buio di una sala conferenze. I dolcetti del rinfresco sono buonissimi e riempiono stomaci di studenti sempre affamati, nonostante le mense universitarie che in Italia chiediamo da anni e i pacchi da casa con pecorino, fagioli, marmellata e pizzelle.
Manca in questa Parigi postmoderna il clima di rilassatezza di questa sera. Allo spettacolo, ironico, sulla condizione dell’attore in Palestina segue un dibattito. Intervengono diverse voci, quasi tutte passano dall’arabo al francese con agevolezza. La Palestina fa parte del loro immaginario emotivamente e politicamente più profondo. La piccola nazione araba perennemente sotto il gioco dell’occupazione israeliana. Sono molti i figli dell’immigrazione maghrebina presenti nella sala. Seconde, terze generazioni. Nate in Francia, madrelingua francesi e che a differenza di molti altri hanno saputo mantenere il legame linguistico con le loro origini: masticano ancora l’arabo e lo usano senza problemi.
Entrare nell’edificio storico della Sorbona è invece un’impresa impari. Devo aprire lo zaino ogni volta e mostrare il tesserino. Se all’inizio dell’anno accademico era un controllo presente ma non pressante, dopo i fatti di Charlie Hebdo è diventato molto più capillare e intransigente. Senza tesserino non si entra. Poi, all’interno, la Sorbona sembra Hogwarts, però senza quadri parlanti. Se le scalinate si muovano non so dire, ma varie volte non sono riuscito a trovare le aule dei corsi. E sono convinto che non sia stata soltanto colpa mia…
Anche alla Biblioteca nazionale mi controllano lo zaino (ancora più minuziosamente) e mi fanno passare sotto un metal-detector. A un prof con uno zaino-valigia troppo grande viene impedito di entrare. Non so quali enormi rischi per la sicurezza nazionale comporti qualche centimetro-cubo in più, ma la metropoli ti insegna a preoccuparti delle tue cose e basta. Forse alla fine l’avrà spuntata e avrà varcato anche lui la fatidica soglia di accesso alla monumentale Bibliothèque François Mitterand. Chissà.
Sono convinto che Parigi sia più bella pensata da fuori che vissuta da dentro. È una città dalla violenza sotterranea. Con le sue geografie dell’esclusione e le sue onnipresenti gerarchie. Dopo gli attentati a Charlie Hebdo la situazione si è ulteriormente deteriorata. Controlli dappertutto, un’atmosfera plumbea, tesa di sospetto, culminata nell’approvazione della Loi sur le renseignement sul controllo delle attività personali su internet. Alcuni intellettuali vicini al Front National sparano cifre e opinioni assurde sull’immigrazione, la tensione interna è alta.
Con due cari amici sono stato a vedere il Museo della storia dell’Immigrazione al Palais de la Porte Dorée. È stato inaugurato da Hollande a dicembre dell’anno scorso e ha sostituito il Museo delle colonie. Il palazzo è sempre lo stesso, con i dipinti esotizzanti sulle colonie francesi, ma il contenuto è molto diverso. L’obiettivo è infatti quello di “mettere insieme, salvaguardare, valorizzare e rendere accessibili gli elementi relativi alla storia dell’immigrazione in Francia, in particolare dopo il XIX secolo; e contribuire così alla riconoscenza dei percorsi d’integrazione delle popolazioni immigrate nella società francese e far evolvere gli sguardi e la mentalità sull’immigrazione in Francia”.
Ho scoperto che per un certo periodo la comunità più numerosa di immigrati in Francia è stata quella italiana. Caspita non credevo! Sono un sacco infatti i cognomi italiani in giro. Be’ all’inizio non dev’esser stato facile, ma nella mia (seppur limitata) esperienza non mi sono quasi mai sentito discriminato per il mio francese dal marcato accento italiano.
Diverso il discorso per le seconde e terze generazioni di immigrati dai paesi del Maghreb. Relegati ai margini delle grandi città, al fondo delle gerarchie occupazionali, esposti alle “sbavature” di polizia, questi cittadini francesi a pieno titolo sentono di non esser parte fino in fondo della comunità nazionale. Robert Castel ha parlato di una discriminazione negativa praticata dalla società francese nei loro confronti: mentre le discriminazioni positive intervenendo sui settori di popolazione più svantaggiati mirano a creare un’uguaglianza delle condizioni di partenza – nella convinzione alla don Milani che “non c’è cosa più ingiusta che far parti eguali tra diseguali” – quelle negative approfondiscono le distanze, magari nascondendosi, con buona pace di don Milani, dietro l’uguaglianza formale di trattamento. I giovani “issus de l’immigration” vivono sulla loro pelle questo scarto tra uguaglianza formale e disuguaglianza reale.
Il radicalismo islamista che fa proseliti all’interno delle società occidentali è stato ricollegato a queste dinamiche. In particolar modo è interessante quanto l’identità “araba”, spesso mobilitata dai giovani intervistati nelle banlieues delle grandi città, sia un’identità “di ritorno”: non potendo sentirsi francesi perché la società francese li tratta come estranei, i giovani “beurs” (provenienti da famiglie di origine maghrebina ma nati in Francia e quindi cittadini francesi) scelgono di vestire l’estraneità imposta e farla propria, come identità di contrapposizione al mondo sociale dal quale si sentono ostracizzati. Un prof di sociologia che si occupa delle periferie delle grandi città e dei loro problemi ci spiegava a lezione che a differenza delle classi popolari sudamericane descritte da Oscar Lewis per le quali la religione cristiana era un tratto comune con le classi dominanti, per le classi popolari francesi di oggi la religione musulmana è un ulteriore elemento di differenziazione sia nei confronti del laicismo repubblicano che del cattolicesimo, ovvero dei due tradizionali orientamenti della società francese nei confronti del religioso. Il lessico da mobilitare nella contrapposizione alla società maggioritaria è diventato allora da qualche anno soprattutto un lessico che attinge alla sfera semantica del religioso. Tanto più che nella comunicazione di massa e nel dibattito pubblico la pressione nei confronti dei musulmani, assunti per il semplice fatto della loro fede come sospettabili di terrorismo, si faceva insopportabile.
La Francia, fino ad oggi, ha risposto alle sue ferite interne soprattutto con la repressione. Anche se non sono mancate politiche attive di promozione sociale, il risultato resta insoddisfacente: le classi popolari figlie dell’immigrazione si sentono più “indigene” che cittadine della Repubblica e continuano a vivere in una marginalità socio-economica postcoloniale.
Dopo gli attentati di Charlie Hebdo il governo Valls ha alzato il livello di allerta e di tensione. Difficile fare altrimenti con un Front National al 25% e che non perde occasione per fare sciacallaggio mediatico. Ma la scelta non appare molto premiante né per la qualità della vita in una Francia ipersecuritaria, né per la soluzione del problema sul lungo periodo.
Approfondire il sentimento di esclusione non sembra portare buoni risultati. Senza dubbio una lezione anche per l’Italia.


postato il 18/7/2015

Share
Ci sono 38 articoli in questa categoria. Leggi gli altri prossimo