E-MIGRANTI

Zac7 - Il giornale del Centro Abruzzo

18246

Noi, loro e il mondo

Galleria fotografica

Documento senza titolo

di Davide Cacchioni

Sono lontano da casa. La mattina mi sveglio e non vedo neanche un abbozzo di collina. Quest’inverno la pioggia scendeva e io non potevo immaginarmi a quale altezza del Morrone sarebbe arrivata la neve. Aver letto, infatti, che la temperatura scende di 6° ogni mille metri (che si sale) aveva reso particolarmente interessanti le piogge. Sulla base della temperatura mi impegnavo allora a calcolare l’altitudine dello zero termico e a controllare poi, con le schiarite, se ci avevo preso. Ad esempio, se a Sulmona piove e sono 6° la neve grosso modo dovrebbe stare sui 1400 (cioè i 400m dell’altitudine di Sulmona + i 1000m derivanti dai 6° di temperatura). E quindi poco sopra l’eremetto di Santo Spirito. Una volta uscito il sole la previsione si può controllare a occhio nudo. E la cosa mi divertiva un sacco!
Qui niente. 6° o 10° o 3° non cambia assolutamente niente. Al massimo a 3° i coraggiosi turisti saliti in cima alla tour Eiffel potrebbero prendersi un po’ di nevischio insieme alle raffiche di vento. Ma pensare che la cosa più alta sia una torre di ferro di trecento metri mi fa venire l’angoscia. Quindi non ci penso.
Vabbè tutto questo per dire che sono lontano fisicamente dalla mia città e non posso vedere le montagne e non posso giocare con la pioggia e non posso annusare il clima che si respira lì da voi. Che tra l’altro mi descrivono come particolarmente caldo. Sia per l’anteprima di estate (zero termico ampiamente sopra i 3000m a quanto pare!), sia per l’arrivo di stranieri. Un’invasione per alcuni, 20 persone nella realtà.
Devo dire che la distanza geografica se da un lato non permette di ascoltare i discorsi dal vivo, se impedisce di tastare il polso degli umori cittadini in prima persona e se costringe a informazioni un po’ di seconda mano, però, dall’altro, permette anche una certa lucidità. Non ho visto lo striscione di Casapound, non ho ascoltato i commenti in salsa leghista, ecc. ecc., e quindi mi vedo riflettere sull’argomento con l’animo un po’ meno turbato.
La prima osservazione che mi è venuta in mente è che viviamo in una fase avanzata di degradazione della cultura politica popolare. Per dire, qualche tempo fa un mio amico molto caro ha ritrovato il necrologio di un antenato comune che aveva partecipato alla fondazione del partito socialista sulmonese. Non si trattava di ricchi borghesi che avevano il tempo e la sicurezza economica per dedicarsi “agli ideali”, né di persone dal curriculum intellettuale straordinario. Si trattava di lavoratori umili e intelligenti che avevano scelto di non rassegnarsi all’ingiustizia del mondo e di impegnarsi in un percorso comune di emancipazione collettiva. Oggi, osservando alcuni commenti su Facebook (anche se riconosco che non è pienamente rispondente alle opinioni circolanti), viene da chiedersi dove sia finita quella tempra umana e quella dignità morale. (Poi c’è semprechi fa peggio, però abbiamo senza dubbio il dovere di guardare a chi fa meglio).
Sarebbe un grande errore tuttavia pensare che sia colpa nostra. Cioè, voglio dire, ognuno di noi ha partecipato negli ultimi decenni alla tendenza generale a ripiegarsi sul proprio orticello privatistico, questo è indubbio. Ma soffermarsi troppo in un giudizio morale sui comportamenti dei singoli può non aiutare la comprensione del fenomeno generale, mi sembra. Abbiamo vissuto anni, infatti, in cui la vulgata ideologica dominante è stata quella che ha affermato il primato dell’individuale e la dimenticanza del collettivo, con violenza “epistemica” (nel nel senso foucaultiano).
La società non esiste, esistono solo gli individui, predicava Margaret Thatcher. E avvertiva Hannah Arendt che “il problema delle moderne teorie del comportamento (homo economicus, individualismo metodologico, ecc.) non è che siano sbagliate, ma che potrebbero diventare vere”.
Ecco noi, più o meno coscientemente, abbiamo partecipato, subendola, a questa potente offensiva ideologica di diseducazione di massa allo spirito collettivo. E abbiamo dato ragione alla Thatcher. Dopo decenni di overdose di ideologia neoliberista, la società sembra non esistere più. E l’individualismo metodologico è diventato prassi sociale. E quindi se, tra ‘800 e ‘900 (e poi durante la guerra e poi dopo nella ricostruzione), il trisavolo mio e del mio amico e i loro figli potevano sentirsi appartenenti a un popolo, oggi noi non ci sentiamo appartenere più a niente. E per fortuna allora che arrivano degli stranieri con la pelle di un altro colore! Unirsi contro di loro può farci almeno sentire appartenenti – per esclusione – a una qualche comunità “etnica”…
Attenzione però, perché quest’unità posticcia, questa etnicità inventata, impedisce di porci alcune domande fondamentali, dalle quali dipendono gli orientamenti fondamentali riguardanti la comprensione politica del nostro stare al mondo, hic et nunc, nel nostro presentissimo oggi.
Chi sono questi stranieri? Da dove vengono? Sono forse loro i responsabili dell’impoverimento e della marginalità del nostro territorio?
Rispondere di sì a queste domande o evitare di porsele significa scegliere di essere completamente ciechi di fronte alle strutture della dominazione e alla geografia della povertà. E contribuire a perpetuarle. Anche a nostro danno.
In Italia il 10% della popolazione detiene il 50% della ricchezza nazionale: su quasi 4000 miliardi di patrimonio (detenuti in varie forme: conti correnti, fondi comuni, polizze, investiti in Borsa e in Btp) circa 2000 sono posseduti da 2 milioni di famiglie su un totale di 20 milioni (fonte:Sole 24 Ore.
Nel mondo va peggio. Nel documento di analisi pubblicato da Oxfam “emerge che l’1% della popolazione ha visto la propria quota di ricchezza mondiale crescere dal 44% del 2009 al 48% del 2014 e che a questo ritmo si supererà il 50% nel 2016. Gli esponenti di questa élite avevano una media di 2,7 milioni di dollari pro capite nel 2014. Del rimanente 52% della ricchezza globale, quasi tutto era posseduto da un altro quinto della popolazione mondiale più agiata, mentre il residuale 5,5% rimaneva disponibile per l’80% del resto del mondo: vale a dire 3,851 dollari a testa, 700 volte meno della media detenuta dal ricchissimo 1%” (fonte: Oxfam.
Nel 2016 l’1% della popolazione mondiale possederà più del 50% della ricchezza mondiale, dunque.
Non c’è che dire, ad ogni striscione di Casapound e ad ogni esternazione di Salvini contro gli immigrati i ricconi stappano una bottiglia di champagne gran riserva! Non c’è niente di meglio per distrarre l’attenzione dalla struttura delle disuguaglianze!
Che fare allora? Qual è la sfida politico-culturale da porsi?
Si tratta di questioni estremamente complesse che naturalmente non possono essere affrontate che all’interno di una vasta e partecipata interrogazione collettiva, ma mi sento di dover sottolineare almeno due possibili direttrici di impegno:
1) La prima volta a spostare la linea del conflitto verso i soggetti dominanti;
2) La seconda volta alla ricostruzione di una nozione di popolo nel solco dell’interrogazione sulla giustizia sociale (interrogazione che abbiamo smesso di porci da tempo).
Prendersela con gli immigrati significa porre la linea del conflitto tra i penultimi e gli ultimi del sistema. Significa cioè assicurare all’attuale struttura della dominazione di perpetuarsi indisturbata. Dobbiamo avere l’intelligenza, invece, di guardare a quel mondo della finanza e della grande impresa che ha il potere di sottrarsi a (quasi) ogni controllo istituzionale e far naufragare ogni forma di progetto politico che parli di redistribuzione della ricchezza (il caso della Grecia ne è emblematico).
È incredibile come mercati finanziari e imprese multinazionali, che sono luoghi in cui circolano volumi di ricchezza mai visti nella storia dell’umanità, siano (quasi) interamente sottratti ad ogni forma di regolazione politica. Vogliamo bombardare i barconi in Libia ma non diciamo niente sulle forme vergognosamente inegualitarie della distribuzione della ricchezza nel mondo. Altra bottiglia di champagne gran riserva stappata.
Il popolo che dobbiamo ritornare ad essere è invece immediatamente solidale con ogni umanità oppressa. Da dovunque venga, qualsiasi lingua parli. Perché la fratellanza-sorellanza universale è la base sentimentale, morale e politica del suo (del popolo) stare al mondo. Una base su cui il popolo ricostruito potrà incominciare nuovamente a sognare e progettare politicamente un mondo giusto, che dia a ciascuno ciò di cui ha bisogno per una vita pienamente umana e ponga limiti all’arroganza e alla distruttività sociale e ambientale del capitalismo finanziarizzato ed estrattivista.
Qualche settimana fa sono stato a Nantes. Una città bellissima. Un centro storico raffinato e il castello dei duchi di Bretagna, col fascino delle sue mura e del suo palazzo. Poi un giardino botanico meraviglioso, con piante da ogni angolo del pianeta.
Anche qui qualche riflessione si è presto imposta. La bellezza architettonica di Nantes è stata costruita – mi hanno spiegato – sul suo porto atlantico e suoi commerci, molta parte dei quali legati al triangolo dello schiavismo che portava merci sulle coste guineane, schiavi africani nel Nuovo Mondo e prodotti agricoli e minerari in Europa… Che dire? Ho cercato di non pensarci troppo e continuare il giro della città. Ma… quanto abbiamo da farci perdonare noi Europei ai tanti Sud del mondo che abbiamo depredato e continuiamo a depredare?
Vicino al castello dei duchi di Bretagna c’era anche un negozietto che vendeva souvenir: tazze, magliette, altri gingilli e la riproduzione di una carta dell’Europa del ‘500 (o forse del ‘700, non mi ricordo!). L’occhio mi è andato subito sull’Italia e sul suo centro. C’era “Rome”, naturalmente, e un po’ più a est un “Sulmone” che mi ha lasciato sbigottito: c’erano pochissime città indicate su quella carta!
Siamo nel mondo anche noi, insomma. Le montagne che ci raccolgono non ci hanno chiusi ai contatti con le altre Italie, non ci hanno nascosti al resto d’Europa, non ci hanno tenuti fuori dalle grandi evoluzioni economiche, demografiche e sociali che l’umanità ha vissuto e va vivendo.
Siamo nel mondo. Anche noi. Non possiamo sottrarci alla bellezza di conoscerlo, alla dolcezza di incontrarlo e alla giustezza di lottare contro le sue ingiustizie, chiunque colpiscano, dovunque si nascondano. E la maggioranza silenziosa e solidale che si è mossa immediatamente e gioiosamente per abbracciare i 20 fratelli giunti dal mare è il segno che la rinnovata consapevolezza di poter essere “popolo nel mondo” sta sbocciando. Anche a Sulmona.
È insieme a quei 20 compagni che inizieremo a costruire un mondo più giusto, solidale ed egualitario. Meno capitalista e molto più umano.


postato il 6/6/2015

Share
Ci sono 38 articoli in questa categoria. Leggi gli altri prossimo