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Qui Olanda, con i gatti in barca

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di Lalla Cappuccilli

Lui insisteva nel dire che l’esserino intrufolatosi da un buco nella nostra cucina era timido, piccolino, e per certi versi anche grazioso, ma anche se l’incontro ravvicinato era tecnicamente avvenuto in mia assenza, non avrei potuto che reagire come una qualsiasi altra moglie: OMMIODDIO, abbiamo un topo in casa! L’unico aspetto a darmi una sorta di conforto – forse – era che questa esperienza avrebbe dovuto contribuire alla mio processo di “olandesizzazione”, come avevo letto su uno spassoso blog curato da Marco, un ragazzo trentino stabilitosi da alcuni anni ad Amsterdam.
Quando la “pantegana batava” aveva onorato di una visita anche il suo appartamento, lui aveva dichiarato, con l’usuale arguzia, di essersi sentito un po’ più integrato, perché i topini sono una croce condivisa da ogni abitante di città sull’acqua: quindi non restava che ricorrere al “rimedio naturale olandese, ovvero il gatto”.
A dire il vero, da parte nostra la decisione di adottare un gattino era già nell’aria, e la sgradita presenza notturna ne aveva solo accelerato i tempi. Però non avevamo ancora la piena percezione di quanto il cammino che ci attendeva sarebbe stato diverso rispetto all’Italia, dove per mettersi in casa un animale sono spesso sufficienti il passaparola per una nuova cucciolata o un ritrovamento fortuito di un piccolo abbandonato.
Le nostre visite preliminari ai gattili olandesi ci hanno fatto rendere conto di quanti giovani e me-no giovani dedichino il loro tempo in attività di volontariato con dedizione, sopportando con a-plomb tutto nordico anche i frequenti graffi degli ospiti più aggressivi o spaventati (foto 1).
Alla fine siamo arrivati in un posto conosciutissimo e quasi biblico nella sua concezione di arca: la Poezenboot (letteralmente “Barca dei mici”), l’unico rifugio galleggiante in tutti i Paesi Bassi, nato nel 1966 dall’amore di Herniette, nota come la Signora dei Gatti (foto 2), che decise di acquistare questo alloggio su un canale a pochi passi dalla stazione di Amsterdam per accogliere i tanti randagi di cui si prendeva cura (foto 3-5).
Insomma se ancora qualcuno pensa che il gatto sia stato venerato come divinità solo nell’antico Egitto, dovrebbe venire a fare un giro nell’odierna Olanda. Le pratiche di adozione sono rigorose, e prevedono una fase preliminare di interviste ai potenziali padroni per accertarne l’effettiva esperienza pregressa in ambito felino. Una volta che i candidati hanno superato questo esame attitudinale, devono garantire che il gattino non si senta mai solo, quindi se ne non ne hanno già degli altri in casa, devono prenderne almeno due. Gli adottandi vengono consegnati muniti di passaporto e microchip di riconoscimento, vaccinati, sverminati, e sterilizzati se adulti, o con copertura delle spese per la successiva operazione in caso di cuccioli di pochi mesi (foto 6).
E così in una piovosa mattina di settembre ci siamo aggiudicati un micino rosso di tre mesi e una gatta adulta di un anno e mezzo, ben consci dell’impegno assunto anche rispetto ai volontari della Poezenboot che ci avrebbero sicuramente continuato a monitorarci dopo l’adozione (foto 7-8).
Sulle prime, dopo qualche giorno di necessario assestamento, i due nuovi abitanti della nostra ca-sa sembravano ambientati, stabilendo un buon rapporto tra di loro e con noi umani. Ma dopo un po’ di tempo, la micia adulta, Selina, aveva iniziato a manifestare alcuni strani comportamenti, che abbiamo provato a riportare nella norma da soli, anche sulla scorta di consigli “empirici” di amici che avevano dei gatti.
Non avendo avuto successo, ci siamo decisi a riferire i sintomi della piccola paziente al gattile che, in un battito di ciglia, ci ha mandato a proprie spese una persona esperta di loro fiducia: una psicologa felina! Questa ferma decisionalità ci ha un po’ sbalorditi, soprattutto considerando che in Olanda per la razza umana l’approccio medico è notoriamente non interventistico, nella regola dell’aspettare che la natura faccia il suo corso, e solo nei casi più difficili, ricorrere al paracetamolo (insomma la Tchipirina), il medicamento universale, la panacea per tutti i mali utilizzata per un ampia varietà di patologie.
Invece la psicologa dei gatti, che si chiama Angelica, ha un sito internet di tutto rispetto, in cui spiega il suo metodo di trattamento olistico basato sul Reiki, TTouch e Soft Touch, ovvero la tra-smissione di energia attraverso le mani (foto 9).
Per il nostro problema si era anche presa la briga di andare a indagare e ricostruire la storia del primo anno di vita di Selina per cercare di spiegare i suoi dissesti con “traumi infantili”, che in ef-fetti c’erano stati. Dopo quel primo incontro, è diventata la nostra cat-sitter ufficiale per quando andiamo via, ha le chiavi di casa per prendersi cura dei “bambini” (de kinderen, come lei li chiama) che hanno sempre la cartolina di auguri e il regalino nella buchetta della posta per ogni Natale (foto 10).
E così, quel giorno in cui è entrata nella nostra vita mandata in missione “felinitaria” dalla Poezenboot, guardavo questa versione buona del Mr. Wolf-risolvi problemi di Pulp Fiction impegnata in bizzarre manovre Reiki sulla nostra Selina, e intanto non riuscivo a trattenere un sorriso, ripensando all’ultima volta che ero andata a comprare l’aspirina, quando la farmacista mi aveva guardato come se fossi una marziana tossicodipendente, e poi si era convinta con molta riluttanza a vendermela dopo avermi mitragliata di domande.


postato il 11/4/2015

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