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qui Spagna: cena con tapas

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di Fabiola Capaldi

Le tapas, o pinchos nel nord della Spagna (Pais Vasco, La Rioja), fanno parte di una cultura fortemente radicata che è presente solo in Spagna. Gli spagnoli, dai 20 anni fino ai 70, vanno di tapas (tradotto letteralmente dallo spagnolo ir de tapas) a pranzo dalle 12,30/13 e la sera dalle 19 in poi e non solo il weekend. Attenzione però: se hai voglia di mangiare una tapa il pomeriggio non trovi nessun bar che te la serva, le cucine sono chiuse perché il pomeriggio è dedicato solo al caffè, alla cioccolata calda e alla tisana. Infatti, la Spagna è piena di cioccolaterie e pasticcerie dove, in un giorno di pioggia, puoi sederti e consumare senza troppi sensi di colpa cioccolate calde e pezzi di torta.
Per quanto riguarda le tapas, prima di tutto bisogna precisare che gli aperitivi non sono uguali ai nostri: in Spagna non hanno il cocktail San Pellegrino, lo Spritz, non hanno idea di cosa sia un chinotto o i famosi bitter che le mie nonne offrono sempre agli ospiti. L’aperitivo da bere qui è molto più semplice e meno elaborato: gli spagnoli consumano una caña (un bicchierino di birra bionda), un refresco (una Coca Cola, un thè freddo, un succo di frutta) e in estate la sangria o il tinto de verano.
La bevanda viene accompagnata da queste tapas, ossia piccole porzioni di cibo; ci sono alcuni bar che obbligano tutto il gruppo di persone che sta consumando a scegliere la stessa cosa e altri che invece lasciano la libertà a ciascuno di scegliere ciò che vuole. Tra i cibi tipici proposti, oltre all’hamburger, all’hot dog e alla tortilla (la nostra meno speziata e condita frittata), ci sono las patatas bravas (patate tagliate spesse con salsa di pomodoro fritto piccante, sì il pomodoro fritto molto usato qui), las patatas ali oli (patate anche queste tagliate spesse con la salsa ali oli, appunto, composta da maionese, aceto, aglio e origano) e il pan pizza (un pezzetto di filoncino di pane con bacon, formaggio, tonno e poi messo al forno). Per chi invece ha una fame insaziabile, c’è la ración, ossia una porzione di tapa più grande che, ovviamente, costa un pochino di più.
Dove io vivo in Castilla La Mancha c’è una “fortuna” che nelle altre comunità spagnole non c’è: las tapas sono gratis, si paga soltanto la bevanda consumata che di solito si aggira intorno ai 2 euro. Mentre in Catalunya o in Andalucía il prezzo della tapa è a parte. Perciò qui si possono girare tre o quattro taperías e cenare o pranzare senza spendere una fortuna.
In terra iberica capita spesso che dopo il lavoro o dopo scuola ci si fermi con i colleghi, o con il professore in una tapería a bere e mangiare qualcosa. Secondo il mio amico José, questa è una forma di relazionarsi al di fuori del posto di lavoro e per lo spagnolo non è una cosa insolita bersi una birra con il prof. Mentre da noi condividere un pasto o una birra con il prof succede solo per la cena dei cento giorni ed è allora che capisci, troppo tardi, che anche loro sono esseri umani come te.
Qualche giorno fa, il 19 febbraio, ho letto la notizia di un deputato catanese, figlio di un giornalista ucciso dalla mafia, che vorrebbe far causa alla catena di ristoranti spagnola dal nome e dal sottotitolo di dubbio gusto, “La Mafia. Si siede a tavola”. Purtroppo questa catena è presente anche nella mia città e anch’io, sin dal primo giorno che sto qua, vedendola e passandoci davanti ho sempre storto il naso. Ho storto il naso per varie ragioni: il solito, scontato e banale accostamento dell’Italia alla mafia, il solito ristorante che si spaccia per italiano, ma che d’italiano non ha nulla e, ultima cosa, perché in Italia non è previsto l’ingrediente panna nella carbonara.


postato il 8/3/2015

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